Finalmente è ufficiale!
Finalmente è ufficiale: l’innovazione è il fine ultimo, l’obiettivo strategico del nostro sistema di istruzione, su cui devono sinergicamente convergere tutti gli atomi, tutti i bit e tutti i neuroni – adulti e infantili - di cui dispongono gli istituti della scuola della Repubblica!
A spazzare via in modo definitivo ogni concezione misoneista della didattica e della professionalità degli insegnanti, è stato l’ “Avviso pubblico per la realizzazione di Ambienti di apprendimento innovativi”, superbo contributo del Superiore Ministero alle azioni del Piano Nazionale Scuola Digitale: elargito in data 27 Novembre 2018, scadeva già il 17 Dicembre, coerentemente con l’assunto che la velocità sia un valore imprescindibile e assoluto. Come è ovvio, l’inoltro doveva avvenire attraverso la potentissima piattaforma SIDI, mediante il fenomenale applicativo “Protocolli in rete”, su cui i dirigenti scolastici dell’intera Nazione erano – udite! udite! – abilitati alla procedura in automatico.
La selezione pubblica riguardava “le istituzioni scolastiche ed educative statali del primo e del secondo ciclo di istruzione” in possesso di “spazi idonei e disponibili (..) pari ad almeno 50 mq, specificamente dedicati”. Coerentemente con la più che ventennale dottrina della competizione, insieme probabilmente all’intenzione di far provare a presidi – alcuni dei quali, essendo reggenti di più unità scolastiche, già conoscono l’ebbrezza dell’oscillazione tra il conflitto di interessi e la concorrenza con se stessi – e collegi dei docenti il pieno brivido della gamificazione, i valorosissimi e competentissimi tecnici del MIUR hanno fissato non solo il tetto massimo di contributo erogabile – 20.000 euro –, ma anche tutte le altre regole della gara, tra cui i criteri di valutazione delle proposte, demandata ad un’apposita Commissione giudicatrice (sic!).
L’investimento complessivo, del resto, è davvero poderoso: 22 milioni di euro. Dividendolo per la quota massima di erogazione, i vincitori potrebbero essere ben 1.100; confidiamo però che sagaci calcoli e approcci risparmiosi permetteranno di raddoppiare nei fatti il numero delle proposte premiabili, che in questo modo coprirebbero una quota davvero straordinaria e significativa degli edifici dell’istruzione statale, il 2,45%!
Messo in evidenza il peso quantitativo dell’iniziativa, passiamo ora ad analizzarne da vicino la già accennata ed epocale valenza culturale, la capacità di scrivere una nuova storia della scuola. Impossibile, in primis, non riportare l’ineguagliabile dimostrazione di pensiero epistemologico circolare costituita dalla definizione di “Ambienti di apprendimento innovativo”, quali “ambienti e spazi (ardita sub-sunzione di concetto a propria sottocategoria - NDR) attrezzati con risorse tecnologiche, capaci (ambienti e spazi? risorse? la concordanza indefinita diviene imperdibile occasione di flessibilità cognitiva e operativa - NDR) di integrare nella didattica l’utilizzo delle tecnologie”.
Come non apprezzare, poi, la cura con cui sono articolati i criteri per valutare le proposte, per ciascuno dei quali – adamantino presidio di trasparenza – è fissato un preciso punteggio massimo? Il criterio a), per esempio, declina la “qualità” della proposta sulla base di vari elementi, tra cui spicca l’“impatto sugli apprendimenti”, ovviamente misurato a priori. Il criterio e), per parte sua, dona all’immaginario psicopedagogico occidentale il perspicace concetto di “ampiezza” delle metodologie didattiche previste, da combinare con la loro “significatività”, compito che farebbe tremare i polsi anche al più autoreferenziale e narcisista degli accademici, e che invece la suddetta Commissione giudicatrice affronterà impavida.
A fronte dell’editto e della conseguente opportunità, nelle scuole si è scatenata la corsa alla progettazione, con il consueto ricorso al ricettario del coding, del making, del tinkering, della realtà virtuale e di quella aumentata, del 3d, dei kit, del BYOD, del cloud e così via, questa volta arricchito di ingredienti provenienti dall’arredamento modulare: ennesima umiliante applicazione della scrittura di sudditanza, supinamente subordinata alla visione della cosiddetta didattica digitale e orientata a dimostrare la propria ferma e massiccia adesione al Pensiero Pedagogico Unico .
Basta con il sarcasmo
Siamo di fronte ad un nuovo e sempre più lampante esempio di colonizzazione professionale e intellettuale, da cui dobbiamo emanciparci ed emancipare scolari e studenti al più presto, senza sconti e con la massima lucidità. Dobbiamo individuare le costrizioni culturali e le restrizioni cognitive in cui ci rinchiude il totalitarismo lessicale e concettuale imposto dalla definizione del mondo digitale secondo un’unica prospettiva, l’egemonia mercatista, in particolare quella del capitalismo delle piattaforme.
Questa scelta richiede il rifiuto della logica della società della prestazione, che subordina l’istruzione al mercato del lavoro, e la sua sostituzione radicale con la definizione e l’impiego di termini disvelanti e la ri/attribuzione di significati demistificanti alle espressioni di uso corrente e consolidate.
“Innovativo”, per esempio, significa “Che innova, che porta innovazione o innovazioni, che tende a innovare” (cfr. voce, Treccani): di per sé è termine netto, contrapposto per esempio a “conservativo”, ma non va oltre: non definisce obiettivi precisi, non prevede risultati attesi, non contiene criteri certi di misurazione. Spesso, poi, le innovazioni di tipo digitale, in particolare per ciò che riguarda l’occupazione, si sono rivelate essere disruzioni, ovvero tecnologie di rottura, che ristrutturano in modo brutale e subordinato alla logica del profitto immediato, azioni, relazioni e regole, determinando una riduzione di garanzie e diritti dei lavoratori, spacciate però dalla tecnocrazia quale progresso inevitabile.
Una proposta
Potremmo proseguire, ma preferiamo rimandarvi a un lavoro in progress, un blog, che cerca di collocarsi in una prospettiva di liberazione semantica: si chiama "Concetti contrastivi" – mai finiremo di ringraziare Anp per aver introdotto nel vocabolario dei rapporti professionali questa prospettiva [1] – e può essere utilizzato senza alcuna profilazione degli utenti, semplicemente scorrendone le voci, che sono interconnesse tra di loro con link.
La maggioranza delle voci sono definizioni (alcune sono usate in questo stesso articolo) ma vi sono anche mappe, che costruiscono una rete di connessione tra i concetti contenuti e consentono di approfondire i temi trattati attraverso collegamenti a video, approfondimenti bibliografici attivi o indicazioni di ulteriori letture.
[Vai alla versione leggibile e con tutti i link attivi]
È un lavoro in costruzione, frutto di studio, analisi, sintesi, che abbiamo pensato di rendere disponibile non a percorso concluso -impresa tra l’altro improbabile-, ma immediatamente, considerata la necessità di contrastare ciò che ci appare una crescente e spesso inconsapevole acquiescenza al progressivo sbiadire dei diritti di cittadinanza e della progettazione politica, come esempio di dialettica tra ricerca e informazione in grado di adattarsi all’urgenza.
Tra le voci del blog troverete anche qualche neologismo, per esempio iperstizione. Alcune formulazioni sono di sicuro complicate, almeno in prima lettura, e sono perciò classificate e raggiungibili secondo categorie culturali invece ampiamente note e riconoscibili: Politica, Società, Economia, Diritto e così via, a cui se ne aggiungeranno altre con la crescita dello strumento, per lo meno dal punto di vista della quantità di voci.
1. Vedi C. Gubbini, S. Intravaia, "Prof scomodi? Ora noi presidi abbiamo mano libera", la repubblica, 22.12.2015.